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Visualizzazione dei post da maggio, 2019
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“Kirundi buke buke”. Kirundi poco poco. Senza dubbio l’espressione in kirundi che più ho usato fino ad ora. Giusto per farvi capire, stiamo migliorando parecchio con la lingua, riusciamo a dire quasi tutto quello ci serve, magari non in maniera impeccabile a giudicare dalle risate degli abarundi che puntualmente seguono ogni nostra frase. Il problema viene quando sono loro a risponderci, parlano velocissimo e più gli si dice che sappiamo poco il kirundi, più sembra che facciano apposta a parlare ancora più veloce. In ogni caso nella settimana appena conclusa e durante le prossime, avremo l’occasione di esercitarci tanto, parlando con la gente. Infatti abbiamo iniziato a fare i tipici lavori burundesi, che personalmente penso siano i migliori che si possano fare. Di fatto si tratta di lavori che fanno tutti, dalla mamma con in spalla il bambino neonato, al ragazzino undicenne, passando per alcune ragazze di Nkuba che nonostante siano stampellate, non rinunciano a dare il loro co
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Abbandoniamo per un istante, o meglio, per una settimana Mutoyi e con essa la sua gente e le loro storie, le sue strade rosse sterrate e l’aria fresca e pulita che si respira in collina; accantoniamo, solo per pochi giorni, le nostre attività quotidiane. In particolare, i ragazzi la ristrutturazione della staccionata all’interno dell’ospedale di Mutoyi, e noi ragazze le attività con i bambini dell’orfanotrofio di N’kuba. Ad attenderci sarà una settimana particolare. Lunedì mattina il viaggio che ci aspettava era bello lungo: zaini pronti in direzione Bujumbura, la capitale del Burundi. In molti magari si chiederanno come mai sei ragazzi in qualità di volontari a Mutoyi si sono spostati per fare un piccolo soggiorno in capitale: come mai abbandonare le verdi colline, il fresco e la tranquillità della vita di Mutoyi scandita dalle ore di luce del sole? Sapevamo che a Buja, precisamente nel quartiere di Kigobe, ad attenderci ci sarebbero state sorella Mariuccia e sorella Giulia; tutto
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Bwakeye mwese, ndi Davidi; bw si legge BG e la “i” centrale del nome bisogna allungarla come se fosse doppia. Immagino si intuisca il saluto, ma traduciamolo: buongiorno a tutti, sono Davide.   Oggi è il mio turno di raccontarvi, ho chiesto agli altri se avessi potuto scrivere io oggi perché vorrei condividere con voi una domanda che da qualche giorno mi sto ponendo: cosa vuol dire fare del bene? Prima di spiegarvi il perché di questo interrogativo, veniamo alla settimana appena passata. Il lavoro principale che ha occupato noi ragazzi lo abbiamo svolto in ospedale; lunedì mattina alle 8 ci siamo trovati in carpenteria con i muratori abarundi e abbiamo iniziato la restaurazione della staccionata di una terrazza. 600 paletti marci da togliere, olio di gomito e spazzole per tirare via la ruggine dal metallo, pennello e vernice verde per ritinteggiarlo e infine altri 600 paletti nuovi da rimontare, rigorosamente senza avvitatori ma con avambracci, grasso e cacciaviti; il legno
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Ciao a tutti, sono Ari, e questa settimana sarò io a raccontarvi tre delle nostre esperienze. Il sole caldo, cielo terso, colazione fatta e siamo tutti pronti per andare a vedere il mercato di Mutoyi, che come ogni lunedì mattina accoglie centinaia di persone.   Il mercato è situato su uno spiazzo di terra molto esteso sul quale sono posti degli appoggi in bambù oppure stoffe stese sul terreno con sopra la merce. Il primo impatto è stato decisamente forte, appena arrivati l’attrazione principale non era più il mercato, eravamo noi. Centinaia di persone che ci fissavano, non una che guardava in un’altra direzione, e così con gruppi di persone che ci seguivano e ci fissavano ci siamo addentrati nel mercato. Stoffe colorate, oggetti particolari, erbe, banane, anfore, cibo insomma c’era proprio un po’ di tutto, la cosa che mi ha colpito di più è stata la sezione della carne dove teste e parti di mucca venivano colpiti ripetutamente con enormi umupanga, una specie di machete, mancava