Bwakeye mwese, ndi Davidi;
bw si legge BG e la “i” centrale del nome bisogna allungarla come se fosse doppia.
Immagino si intuisca il saluto, ma traduciamolo: buongiorno a tutti, sono Davide.
 Oggi è il mio turno di raccontarvi, ho chiesto agli altri se avessi potuto scrivere io oggi perché vorrei condividere con voi una domanda che da qualche giorno mi sto ponendo: cosa vuol dire fare del bene?

Prima di spiegarvi il perché di questo interrogativo, veniamo alla settimana appena passata.
Il lavoro principale che ha occupato noi ragazzi lo abbiamo svolto in ospedale; lunedì mattina alle 8 ci siamo trovati in carpenteria con i muratori abarundi e abbiamo iniziato la restaurazione della staccionata di una terrazza. 600 paletti marci da togliere, olio di gomito e spazzole per tirare via la ruggine dal metallo, pennello e vernice verde per ritinteggiarlo e infine altri 600 paletti nuovi da rimontare, rigorosamente senza avvitatori ma con avambracci, grasso e cacciaviti; il legno di eucalipto è molto duro e senza grasso le viti non entrano. Dicevamo; lunedì mattina è iniziato il nostro primo lavoro che ci avrebbe occupato qualche tempo, se non fosse che nel pomeriggio, io, ero già steso a letto e con la gamba destra in aria: il fascino della sorella Luisa mi ha rapito e, mentre ero intento a salutarla, ho infilato il piede in una buca provocando una classica torsione della caviglia destra.
Martedì mattina, quindi, intanto che le ragazze andavano a Masabo a trascorrere qualche giorno con le sorelle e i ragazzi si dirigevano in ospedale, io ero steso a letto, affranto e amareggiato ma obbligato alla tranquillità per poter tornare subito in forma.  Mercoledì mattina, a premio del mio riposo forzato, ho tranquillizzato la Fiore che aveva già allertato l’ospedale per il ricovero, ho fasciato il piede e, di nuovo operativo, mi sono diretto al lavoro con gli altri. Quella sera era serata di Champions e, approfittando della mancanza della parte femminile, siamo andati con Aldo in un locale di Kwijabe, via sotto casa con locali e negozi, a vedere Ajax - Tottenham. Il contesto, l’atmosfera, gli abarundi che tifano chiunque faccia gol, 72 cl di Primus calda che non andava più giù per lo stomaco e la partita finita al cardiopalma hanno reso quella serata stupenda, per me una delle migliori da quando siamo qui.
Giovedì mattina siamo andati avanti in ospedale e nel pomeriggio abbiamo fatto visita ai pigmei; il giorno dopo le ragazze sono tornate da Masabo e alla sera Aldo e Daniela ci hanno fatto una gran sorpresa con bibite, pizza e spiedini di capra provenienti da Kwijabe; vedo già le facce di voi che leggete, ma sappiate che erano davvero buoni e non hanno fatto star male nessuno.
Ora sto scrivendo, è sabato mattina e sono le 10.30. Siamo in piedi da circa 6 ore perché abbiamo deciso di andare a vedere l’alba; sveglia alle 4.30 ( 4.50 per noi ragazzi), thermos di caffè, qualche biscotto e siamo saliti a Katunguru, luogo che richiamerà un po’ di nostalgia a don Cesare. Qualche nuvola ci ha oscurato la nascita del sole, ma lo spettacolo è stato da perdifiato comunque. La distesa di colline, le nuvole basse nel umwonga, il soffio del vento, il saluto della prima luce, qualche battuta a combattere il freddo, 18 occhi persi  e 9 cuori appagati.


E’ stata una settimana piena, bella e viva. 

Cosa vuol dire fare del bene?

Vi ho detto che giovedì pomeriggio siamo andati a trovare gli abatua di Mutoyi; avevamo già incontrato quelli di Nyarugunda, quindi sapevamo già che vivevano in modo diverso dalle altre etnie. Per la verità non ne abbiamo incontrati molti, erano via.
Girando per le loro casette con tetto di paglia, più vicine a capanne che a edifici, abbiamo incontrato una vecchietta che ci ha chiamato sotto a un albero affianco a un bambino sdraiato e coperto da un telo. Gli spuntava solo la faccia e i suoi occhi nero pece hanno attirato subito la mia attenzione, era malato ma non sapevamo di cosa. Dopo qualche minuto chiedo a sorella Savera di raccontarmi di lui.
E’ malato di malaria, da tanto, così tanto da essere senza forze e sembrare paralizzato. La malaria ormai si cura facilmente anche qui, l’ospedale non dista più di 15 minuti a piedi e le cure sono gratuite.
Gli abatua hanno ancora una cultura arcaica e lontana; vivono in capanne, se gli regali una casa la vendono subito e ti dicono: “non posso ripararmi sotto i soldi”. Se una medicina non funziona il giorno stesso che la prendono, loro la buttano, pensano agli stregoni e lasciano il malato a se stesso. E’ quello che è successo a questo bambino, ai miei occhi neanche dodicenne. Non si può portarlo in ospedale perché non hai il permesso dei suoi genitori, non si può portarlo forzatamente perché la sua gente verrebbe a riprenderselo e minacciare te e i medici che lo curano e per lo stesso motivo un medico non può venire a curarlo a casa sua.
Questo bambino è sdraiato su una stuoia sotto un albero, la testa ferma nella stessa posizione da quando siamo arrivati 20 minuti fa, gli occhi spenti e stanchi, i genitori chissà dove e solo una vecchietta ad avere attenzione per lui.
Questo bambino aspetta: una guarigione o qualcosa a cui non voglio pensare, non lo so. Questo bambino ha poco più di 10 anni ed’è “normale” che sia sofferente, paralizzato, spento sotto un albero.
Cosa vuol dire aiutare il prossimo!? Tu lo guardi e sai che te andrai e lui rimarrà li, così come lo hai trovato. E’ la loro cultura, il loro vissuto, non sei in Burundi per combattere una cultura, ma un bambino forse sta morendo e sicuramente soffre, avrà ripercussioni per tutta la vita e tu non fai niente.
Hai un istinto, chiunque lo avrebbe, ma lo senti sbagliato, scorretto. Non farai niente, lo sai! Non puoi o non vuoi? Non riesci a capirlo.
Sei lì, davanti a lui, a un bambino di poco più di 10 anni, a occhi nero pece che ti fissano. Non vedi emozione, non vedi gioia, quegli occhi sembra portino solo rassegnazione. Li guardi, lo guardi e agiti la mano, lui prova a risponderti, sorridi con tristezza, abbassi lo sguardo, ti volti e t’incammini.
Cosa vuol dire fare del bene?

Commenti

  1. fare il bene è forse anche aiutarci ad aprire gli occhi sul mondo? un grande abbraccio a tutti voi!

    RispondiElimina
  2. fare del bene fermarsi un attimo per dare un abbraccio e un sorriso a chi ne e' privo.Un abbraccio a tutti .Nonna Anna

    RispondiElimina

Posta un commento