Ciao, sono Dani e oggi racconterò l’esperienza che sto vivendo con il gruppo di noi sette arrivati ad agosto qui a Mutoyi.  Sembra ieri che siamo atterrati, ma siamo già a metà strada e con le scarpe rosse di terra burundese. Lo spirito con cui abbiamo voluto e vogliamo vivere questo mese è di scoperta e conoscenza della prima missione del Vispe e fino ad ora siamo davvero felici di aver avuto la possibilità di ammirare tutto ciò che è stato costruito negli anni qui in Burundi.
La sensazione avvertita nei primi giorni è stato lo spaesamento. Ci siamo sentiti spettatori, mentre gli altri sei erano già calati e concentrati in questa realtà. Essendo un’esperienza di vita comunitaria era necessario venirsi incontro e dopo qualche confronto iniziale ci siamo integrati completamente.
Ma parliamo ora di tutto ciò che vive al di fuori del mondo protetto di casa laici: non posso fare a meno di raccontare il disagio e la rabbia che abbiamo provato osservando la miseria, protagonista assoluta delle colline burundesi. Ma non è solamente la povertà materiale a farci provare queste emozioni: oltre ai bambini vestiti di stracci, alle case sporche senza acqua ed elettricità e alle storie di vita disumana, ciò che ci frustra è osservare un popolo senza prospettive future. Vedere giovani con ambizioni, provare a ribellarsi contro un sistema che non premierà mai i loro talenti, comprendere che la struttura sociale è talmente misera che la prospettiva migliore per questi ragazzi sarebbe la fuga all’estero provoca in noi un senso di impotenza e tristezza.
Ciò che ferisce me in particolare è osservare migliaia di abarundi prigionieri di un carcere senza sbarre, che non si può toccare o vedere, ma che li incatena ad una lotta quotidiana per la sussistenza primaria. Mi chiedo se siano a conoscenza della tremenda ingiustizia che accoltella la loro vita, ma anche se fosse non ho idea di ciò che potrebbero fare per sovvertire questo ordine ingiusto, composto da un’elite minoritaria che è svariate volte più ricca della maggioranza in uno stato ampiamente sotto la soglia minima di povertà.
Nonostante ciò, ci scalda il cuore notare tracce di umanità bella nella disumanità. Gli abarundi cercano sempre la relazione con gli altri, perché insieme il dolore si avverte meno, sono pieni di vitalità nonostante la sofferenza, pieni di forza nonostante la fame, pieni di speranza nonostante il vuoto sociale e politico.
Vivere qui a mutoyi e conoscere una realtà così piena di sofferenza e contraddizioni è per noi di alto valore educativo e chissà in futuro quanti semi fioriranno da questa esperienza. Ma di una cosa sono sicuro: che questo mese così intenso di lezioni ed emozioni ci renderà più coscienti: coscienti della fortuna che abbiamo rispetto a questi ragazzi e coscienti delle nostre competenze e potenzialità. Siamo una generazione che spesso si sottovaluta, ma siamo più capaci di quanto crediamo. Abbiamo avuto la grande fortuna di aprire gli occhi sulla realtà del mondo ed è perciò nostro dovere smettere di osservare la vita dal balcone e di mettersi in gioco davvero, per noi stessi, ma soprattutto per gli altri, per costruire un mondo migliore.

- Daniele



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