E’ sabato. Apparentemente un sabato come tanti altri. Ma non per tutti. Ci sono alcune ragazze che non stanno più nella pelle, probabilmente non hanno chiuso occhio tutta notte, nell’attesa che arrivasse questa giornata. Sto parlando delle ragazze di Nkuba, ragazze con piaghe sulle gambe, malattie alle ossa, malattie rare che le costringono a camminare con le stampelle per tutta la vita. In Burundi purtroppo spesso le cose vanno così: il lavoro nei campi è troppo importante, e se una donna non è fisicamente in grado di farlo, nessuno la vuole, nessun uomo vuole prenderla come moglie. E anche i genitori non sono contenti di avere una figlia che non può zappare. A Nkuba, oltre ad anziani e bambini orfani, si accolgono queste ragazze “escluse” da tutti. Per quanto si cerchi di aiutarle, passano comunque quasi tutto il loro tempo nello stesso luogo, uscendo solo in rare occasioni come quando si dovevano cogliere i fagioli nei campi in umwonga. Sì perché, anche se gli uomini non le vogliono a causa delle loro difficoltà fisiche, queste ragazze hanno una forza di volontà incredibile e si mettono a lavorare lo stesso. Per di più, come tutte le altre ragazze abarundi, non si stancano mai.
Ecco, abbiamo deciso di fare un regalo a tutte queste ragazze, portandole a Bujumbura. Un semplice giro in capitale, si potrebbe pensare, ma per loro che non hanno mai visto una città è qualcosa di straordinario. Quando hanno saputo questa notizia, urlavano dalla gioia, all’idea di passare una giornata così diversa.
E allora è sabato. Sono le 6.00, arrivano i due pullmini e siamo pronti per andare a Nkuba. Le ragazze sono già pronte, chissà con quanto anticipo ci stavano aspettando. Sono elegantissime, tutte indossano i vestiti più belli che hanno, perché per loro è un evento che potrebbe capitare una volta nella vita. Le chiamo ragazze anche se tra di loro c’è qualche donna, ma non cambia, per tutte loro sarà la prima volta che vedranno la capitale. Sono 19 in totale, tra cui una ragazza in carrozzina, parecchie con le stampelle, anche tre ragazzini e qualche lavoratrice di Nkuba, di fondamentale importanza per poter gestire tutte queste persone. Ci siamo poi noi sette ragazzi e i due autisti: risultato, entrambi i pullmini da 18 posti praticamente riempiti. Ci siamo preparati per il viaggio con sacchetti di plastica e limoni, prevedendo il peggio, e invece siamo rimasti piacevolmente sorpresi nel constatare che nessuno è stato male in tre ore di viaggio. Dall’inizio dell’asfalto fino all’arrivo a destinazione è stato un susseguirsi di “Yoooo” e urla varie di stupore per mille motivi: i sorpassi con i camion a doppio rimorchio che arrivano nell’altra direzione suonando il clacson, la vista della città dall’alto con tutte le case così vicine tra loro…
A Bujumbura si sono aggiunti alla “carovana” sorella Giulia, Grazia ed Emilio (arrivati in Burundi da una settimana) ed alcuni lavoratori di Kigobe. Un’auto in più e pullmini ufficialmente riempiti. Abbiamo passato la mattinata girando i vari posti di interesse della città, dal monumento dell’indipendenza all’università, passando per la cattedrale, fino ad arrivare allo zoo. Erano tutti estasiati nel vedere coccodrilli, leopardi e scimpanzé. Forse quando sono comparsi i serpenti, lo stupore ha lasciato spazio alla paura, superata però velocemente quando Claudine se n’è fatta mettere uno intorno al collo continuando a chiedere che le venisse fatta una foto, scatenando le risate generali di tutti. Dopo pranzo siamo andati al lago Tanganika, dove abbiamo passato il pomeriggio, bevendo un po’ di fanta, mangiando qualche patatina fritta e pucciando i piedi nel lago: non mi è possibile descrivervi a sufficienza la gioia che si poteva percepire nelle ragazze. Ridevano, ridevano continuamente, facendosi decine di foto. Alcune prendevano dell’acqua nelle mani e se la mettevano in testa. Ad un certo punto Emilio e JeanBosco, hanno sollevato la ragazza in carrozzina facendo mettere anche a lei la gamba in acqua: sembrava la persona più felice al mondo. Qualcuna era titubante all’inizio, si avvicinava all’acqua piano piano, poi dopo aver sentito la sabbia bagnata sotto ai propri piedi, non voleva più andarsene da lì. Mentre eravamo tutti sul bagnasciuga, tra una risata e l’altra era un continuo venirci a ringraziare per la giornata che stavano vivendo. La gioia che tutte stavano provando, non l’hanno persa una volta lasciato il lago e salutata la città: tutto il viaggio di ritorno è stato fatto cantando. Non si sono fermate neanche un secondo, finita una canzone ne cominciava subito un’altra, fino all’arrivo a Nkuba, dove il tono di voce si è fatto, se possibile, ancora più alto terminando con un applauso lunghissimo.

Concludo raccontandovi una piacevole sorpresa che ci è capitata questa settimana. Dall’Italia è arrivata posta per noi. Tante lettere scritte dalle ragazze che hanno partecipato al campeggio medie Vispe. Tutti noi giovani, vogliamo ringraziarvi di cuore per le parole che ci avete scritto. E’ bello vedere che avete apprezzato ciò che scriviamo, che siete state colpite da alcune situazioni, emozioni, volti che abbiamo provato a descrivere con i nostri scritti. E’ bello leggere le risposte che avete dato ad alcune nostre domande. E’ bello quando scrivete che in Italia spesso non siamo mai contenti di nulla pur avendo tutto, che tutte le persone dovrebbero avere la possibilità di aiutare il prossimo, che ci stimate e apprezzate quello che facciamo e la gioia che ci mettiamo nel farlo. E’ bello sapere che vi piace far parte del Vispe, che vi piace partecipare ai campeggi, che vi piace donare “abbracci gratis” a persone sconosciute e che pensate che sorridere faccia sempre bene!
E a proposito di questo ripenso a sabato sera, dopo la lunga giornata a Bujumbura. Sono a letto e le orecchie mi fischiano un pochino, la cosa bella è che sembra un’esagerazione, ma non lo è. Riprendo alcuni spunti che ci avete scritto dall’Italia. “Sorridere fa sempre bene” e “non siamo mai contenti di nulla pur avendo tutto”. Mi vengono in mente tutti i volti sorridenti delle ragazze. Non hanno nulla, se non una vita colma di difficoltà, eppure sorridono. Ancora una volta, i poveri mi hanno insegnato qualcosa.

Seba


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