Il tempo qui a Mutoyi scorre con una rapidità inesorabile, e in un attimo ci troviamo già a metà del nostro viaggio. Ogni giornata lascia spazio alla notte, e poi a quella successiva e a quella dopo ancora, senza quasi darci il tempo e l’accortezza di staccare i foglietti con le date sul calendario di Frate Indovino, che capeggia in cucina vicino al refettorio con i suoi immancabili consigli e proverbi popolari.
Sono gli eventi della natura, soprattutto quelli ciclici con una cadenza temporale regolare, che mi fanno fermare per un istante e riflettere sul significato del trascorrere delle ore, dei giorni, dei mesi: la luna, per esempio, che proprio in queste notti, noto, sta raggiungendo la posizione del plenilunio per la terza volta da quando siamo arrivati a Mutoyi una sera di due mesi fa, quando anche allora splendeva – piena - nel cielo africano nero e stellato; oppure l’alternarsi dei ritmi dei lavori nei campi, che adesso, con l’inizio della secca, richiedono un grande impegno quotidiano nella attività di raccolta, per poter garantire una base di sostentamento alle famiglie povere, in assenza di altri preziosi doni provenienti dalla terra; ma anche le mie scarpe, completamente bianche al momento della partenza dall’Italia, che si fanno ora di un colore sempre più rosso vivo: curioso risultato del contatto prolungato con la terra di cui è fatto questo Burundi (bhe, lo confesso…anche di una certa pigrizia maschile nel decidersi di lavarle con acqua e sapone di tanto in tanto…).

In realtà, pensare ai giorni passati e provare a scrivervi qualche parola, oggi, non è facile. La settimana appena trascorsa è stata, tra tutte, quella più piena, significativa, indubbiamente difficile da vivere, ma per certi versi ambivalente e densa di sensazioni contrastanti. La scomparsa fisica del Padre, momento che voi in Italia avete vissuto più da vicino rispetto a noi, se da una parte mi ha lasciato un grande senso di fine e di vuoto interiore, dall’altra mi ha dato modo di fermare per un attimo la mente, tentando di comprendere e di valorizzare il significato del forte silenzio che ha avvolto in questi giorni la nostra comunità.
Da un certo punto di vista, mi sento quasi scomodo e a disagio nel parlarne. Perché di fatto, io, il Padre non lo conoscevo di persona. Invece, qui a Mutoyi, io e gli altri ragazzi condividiamo le giornate assieme a persone per le quali la Sua figura ha rappresentato davvero una guida concreta, una fonte di calore spirituale e di carisma capace di prendere e stravolgere totalmente le storie di ragazzi e ragazze, che hanno trovato in Lui e nei Suoi insegnamenti la direzione di vita da seguire. Una direzione mai persa di vista, anche oggi che quei ragazzi sono diventati uomini e le ragazze donne, siano queste persone fratelli, sorelle, preti, o laici riuniti in famiglie.
Ecco…forse loro, ben più di me, potrebbero trovare le parole giuste per parlare in questo momento particolare.

Credo, tuttavia, che possa essere interessante e utile provare a considerare anche una prospettiva diversa, più esterna, indiretta e distaccata: perché anche a chi non ha avuto l’occasione di conoscere fisicamente il Padre come me, in fondo, non è preclusa la possibilità di conoscere quella “direzione” di cui ho parlato in precedenza, che Lui ci ha indicato con la sua vita di testimonianza cristiana e che oggi, in modo particolarmente intenso proprio qui a Mutoyi, si continua a respirare nelle vite e nelle azioni di carità di chi a suo tempo scelse di seguirlo.
“Gli uomini passano, le idee restano, e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”, erano le parole di Giovanni Falcone.
E poi, in fondo, non è forse lo stesso meccanismo – che di meccanico e razionale ha paradossalmente ben poco – che si cela dietro al nostro rapporto con la Fede e con Gesù? Certamente nessuno di noi lo ha conosciuto personalmente, ma se ancora oggi - come recita il titolo dell’Esortazione apostolica di Papa Francesco che abbiamo studiato insieme a Don Luciano – Cristo vive, è proprio perché la sua testimonianza di amore è giunta dopo 2000 anni fino a noi in modo ancora ardente, vivo ed integro (non senza grandi e piccoli sbandamenti, nel corso della storia). Come? Passando di discepolo in discepolo, di voce in voce, di mano in mano, di azione in azione, di singolo uomo in singolo uomo.
E quando mi reco su al silenzioso eremo di Katunguru e i pensieri spaziano nella mia mente, lontano dai rumori e dalle distrazioni esterne, e provo a ragionare un po’ sulla mia vita e sul senso di questo viaggio…realizzo che il mio rapporto con la Fede, con Gesù e con il significato della carità cristiana, non è altro che il risultato di incontri (e scontri) che ho fatto nel corso dei miei ultimi anni di vita, con realtà, con luoghi, con ideali, ma soprattutto con persone concrete, con storie e vite vissute, di chi a sua volta scelse da giovane di affidarsi al Padre e di seguirlo. E poi, prima di Lui, via via risalendo di uomo in uomo, di voce in voce, di mano in mano, scavando fino alla radice più profonda della pianta, c’è chi prima di ogni altro ha posto la luce sulla direzione da seguire: Colui che morì in croce per noi.

- Edoardo





Commenti

  1. pensieri profondi aleggiano tra queste parole e il richiamo alla concretezza del messaggio cristiano e alle radici della storia ci danno la carica per affrontare il cammino di ogni giorno.
    l'immagine di questi bambini che camminano, nella stessa direzione, uno si gira ... forse è incerto...forse distratto da qualcosa .... ma va avanti e cammina...la vita vince sempre. prende forza anche da un piccolo seme di bontà.

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  2. Grazie Edoardo. Non ci conosciamo direttamente e da quanto e come scrivi sei giovane. Ma la profondità delle tue riflessioni mi portano a credere che la distanza tra noi non sia poi così grande. Merito anche di chi sta facendo da ponte tra le nostre generazioni. Buona seconda parte di viaggio. E grazie ancora

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  3. le scelte continuano grazie a chi le vive. Buona strada a voi tutti! Karoli

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  4. Scusami. Il primo "unknown" non voleva essere "anonimo". Sono Pito.

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